Un viaggio in moto alla fine del mondo – Patagonia e Terra del Fuoco
Un viaggio in moto alla fine del mondo – Patagonia e Terra del Fuoco: Ci pensavo da un po’, senza dubbio un viaggio da sogno, uno di quelli che si fa una volta nella vita, uno di quelli dove servono tempo e denaro, forse più denaro che tempo…
Unica certezza il periodo, il nostro inverno cioè l’estate australe che va dal 21 dicembre al 21 marzo. Escludo le vacanze di Natale, che per me sono lavoro, alla fine di gennaio c’è l’MBE di Verona quindi parto a febbraio, il mese migliore, con le temperature più alte, mediamente comprese fra dodici e diciannove gradi e soprattutto un po’ meno vento.
Quesito preliminare: moto trasportata oppure noleggiata? Di cuore dico che vado con la mia poi, fatti due conti e considerato il tempo a disposizione, opto per il noleggio. Il costo è molto simile, non starò senza moto per almeno tre mesi e non avrò problemi di sdoganamenti vari; certo, mi dovrò “accontentare” di un F 800 GS con necessaria ruota da ventuno anteriore che dà sicurezza e maggior “handling” sugli sterrati patagonici ma quando avrò tre mesi a disposizione porterò la mia.
Santiago del Cile è facilmente raggiungibile dall’Italia e da tutta Europa con Latam Airlines a cadenza giornaliera, da lì, con un volo interno, raggiungo Puerto Montt, un migliaio di chilometri a sud, dove trovo ad aspettarmi Anibal, l’amico cileno conosciuto durante un viaggio in Russia che mi noleggerà la moto.
La prima notte la passo nel bel paesino di Frutillar, sulle sponde del lago Llanquihue, al cospetto dell’impressionante vulcano Osorno. Sono più di tremila i chilometri che mi separano dalla Terra del Fuoco e dalla città più australe del mondo, Ushuaia. L’itinerario è abbastanza scontato e prevedibile: sempre verso sud, a cavallo delle Ande meridionali fra Cile e Argentina percorrendo due delle strade dai nomi più evocativi del mondo, la Ruta CH-7 meglio conosciuta come Carretera Austral in Cile e la Ruta Nacional 40 in Argentina.
Faccio il pieno e parto verso la prima di una lunga serie di dogane, imbocco la Ruta 215 e salgo fino ai 1300 metri del Passo Cardenal Semoré in una fitta nebbiolina e tra panorami stravolti dalle ceneri delle recenti eruzioni vulcaniche; la frontiera è affollata ma le operazioni doganali sono ben organizzate e ordinate e in poco più di un’ora esco dal Cile ed entro in Argentina. Presa la Ruta 40, poco prima della cittadina di Villa La Angostura, faccio una piccola deviazione per vedere la pista del mondiale MX dove si corre il gran premio di Argentina, fondo di sabbia vulcanica e saliscendi vertiginosi.
Gli scorci sono “alpini” e lo spazio è sconfinato, chilometri e chilometri di foreste e specchi d’acqua si alternano fino a San Carlos de Bariloche dove l’impressione di essere in Svizzera si acuisce: su Calle Mitre, la strada principale, si affacciano chalet di legno e rinomate cioccolaterie. Qui bevo un buon bicchiere di Malbec mangiando papas fritas come contorno e il miglior bife de lomo della mia vita (la carne argentina è famosa nel mondo, a ragione); mi gusto inoltre lo spettacolo di un “asador” al lavoro e mi concedo il meritato ristoro dopo i primi trecento sorprendenti chilometri di viaggio in moto in Patagonia.
Riprendo la Ruta 40 e dirigo a sud, il programma della giornata prevede l’attraversamento di un parco giudicato fra i più belli d’Argentina, il Parque Nacional de los Alerces; devio sulla Ruta 71, sosta obbligata nel villaggio di Cholila per il pieno (all’interno del parco solo belle strade sterrate e nessun distributore) e mi addentro, fra gigantesche conifere in un incredibile susseguirsi di fiumi, laghi, stagni e cascate incorniciati da alte montagne imbiancate dai ghiacciai perenni delle vette più alte, alcuni dei nove laghi di questa riserva sono collegati dal fiume Futaleufù che seguo fino all’omonimo passo e al deserto confine cileno, dove, per poter entrare si deve dichiarare di non avere prodotti di origine animale o vegetale. I controlli sono molto scrupolosi!
Riprendo la corsa verso meridione e finalmente intercetto la Carretera Austral nel ridente villaggio di Villa Santa Lucia; percorro un tratto di strada sterrato che qualche anno dopo, accompagnando il mio primo viaggio di gruppo in Patagonia, ritroverò coperto di fango poiché, piano piano, il “ripio” sarà diminuito e l’asfalto, devo dire purtroppo, sarà invece aumentato.
Quando guido su strade come la Ruta 40, la Carretera Austral, la Pamir Highway o la Carretera de la Muerte le emozioni e le sensazioni si amplificano smodatamente e ogni paesaggio diventa incredibile, ogni esperienza irripetibile, ogni odore un profumo, ogni colore splendente. Lo stato d’animo del mio io motociclista tocca picchi storici fino a diventare vera e propria esaltazione!
Quando mi fermo a un distributore di benzina nel villaggio di Puyuhuapi, un porticciolo all’estremità nord di un profondo fiordo, sono convinto di essere sulle rive dell’ennesimo lago e invece è il Pacifico! Un paio di “enpanadas” e una cerveza sono la mia cena mentre dal molo cerco di avvistare i cetacei che secondo lo sdentato pescatore che mi fa compagnia, ormai diventato mio amico, a volte risalgono fino a lì… ma dopo svariate cerveza continuo a non vedere niente e sono sempre più convinto che Juan abbia escogitato il metodo perfetto per passare la serata e scroccare qualche birra, ma ci siamo raccontati la vita e vado a dormire contento!
I successivi due giorni di Carretera Austral sono un continuo stupirsi ed esaltarsi fra scenari spettacolari e coinvolgenti sterrati, ogni sosta è incredibile, tutti i viaggiatori vanno a sud, decine di ciclisti eroici, motociclisti da tutto il mondo, camper, fuoristrada e ogni genere di mezzo con una sola meta: Ushuaia e la fine del mondo! Raggiungo le sponde del lago General Carrera. Questi ultimi cinquecento chilometri percorsi in due giorni sono spettacolari, secondo molti i migliori della Ruta 7.
Il lago è per metà in Cile e per metà in Argentina, dove lo chiamano lago Buenos Aires; faccio dogana, dirigo ad est e intercetto la Ruta 40 nel villaggio di Perito Moreno, faccio il pieno e via a sud, destinazione la Cueva de Los Manos. Percorro una novantina di chilometri e devio su un bello sterrato verso est, la pista mi porta al centro visite dove aspetto un po’ per aggregarmi alla passeggiata guidata obbligatoria; anche se ho scelto il tour più breve, poco più di un’ora, con gli stivali e l’abbigliamento da moto i neanche due chilometri di camminata diventano un ardito trekking andino… attraversiamo un canyon e raggiungiamo la famosa grotta dipinta dai cacciatori indigeni migliaia di anni fa, impressionante!
Risalito in moto percorro un’altra cinquantina di chilometri di pampa ventosa e ritrovo la Ruta 40 giusto giusto all’altezza del minuscolo insediamento di Bajo Caracoles. Chi arriva durante la pausa-pranzo aspetta… è tutto chiuso: l’unica pompa di benzina ricoperta dagli adesivi dei viaggiatori, il piccolo fornitissimo emporio e anche il bar. Le “velocità” sudamericane qui hanno il sopravvento, non c’è mai fretta; anch’io mi prendo un po’ di tempo per riflettere e metto a fuoco, forse per la prima volta, dove sono e cosa sto facendo! Sto guidando una moto sulla Ruta 40 in piena Patagonia argentina e sono diretto a Ushuaia, alla fine del mondo!
Quando riapre il bar faccio amicizia con un gruppo di motociclisti colombiani e decido di unirmi a loro, passeremo la notte in una vera estancia. Il posto è pazzesco, dalla strada principale deviamo e dopo qualche chilometro e altrettanti cancelli arriviamo alla fattoria dove ovunque vagano liberi cavalli, guanachi, ovini, bovini e anche fenicotteri; per la cena, consumata con i proprietari e gli altri ospiti (una coppia di tedeschi che viaggia con un pick up Toyota attrezzatissimo) abbiamo un succulento cordero al palo, il piatto dei gauchos.
La mattina dopo riprendo la Ruta 40 e dopo la visione del superlativo skyline dato dal Fitz Roy e dal Cerro Torre arrivo alla cittadina anche troppo turistica di El Calafate, punto base per le escursioni al celebre Perito Moreno, un’imponente barriera di ghiaccio animata da scricchiolii, schianti e crolli, colorata in tutte le varianti possibili di verde, turchese e blu cobalto, commozione pura!
Con ancora il cuore e gli occhi pieni della magnificenza del ghiacciaio riprendo la “40”, mi intestardisco nel mantenerla a tutti i costi e non seguo l’asfalto che passa per “La Esperanza” ma devio su uno sterrato che a causa del disuso e delle piogge si rivela veramente impegnativo, una sessantina di chilometri di ghiaione, profondi solchi e fango; riemergo sull’asfalto giusto di fronte alla stazione di servizio di Tapi Aike, esattamente in mezzo al niente! Prima di azionare la pompa il benzinaio deve accendere il gruppo elettrogeno per avere elettricità… la sensazione di “frontiera” è fortissima, così come il vento e la pioggia che spazzano questo luogo desolato.
Rientro in Cile dal varco Rio Don Guillermo, fortuna che la strada è sbarrata… ho scambiato il posto di frontiera per una villetta… solite lungaggini per i controlli in ingresso in Cile; è freddo e pioviggina, trovo riparo nella vicina cafeteria per uno snack e per preparare l’itinerario attraverso il Parco Nazionale Torres del Paine.
Lo sterrato si snoda per centinaia di km all’interno del parco; ammiro ghiacciai, laghi, foreste, fiumi, cascate e gli spettacolari monoliti di granito che danno il nome alla riserva e dominano l’incredibile paesaggio. Mi fermo mille volte con il fiato mozzato, ogni mirador suggerisce una vista indimenticabile, sono stupefatto, commosso e assolutamente soddisfatto.
Sono molto a sud e i cartelli dicono Regione di Magellano e Antartica Cilena, l’emozione sale quando, finalmente, giungo a Punta Delgada, l’imbarcadero per la Terra del Fuoco; attraversare la Stretto di Magellano era uno dei miei sogni da bambino, volevo vedere quelle terre remote che hanno preso il nome da un grande viaggiatore e più tardi ho agognato leggendo il capolavoro di Chatwin… finalmente ci sono. Metto le ruote della moto sulla desolata Terra del Fuoco. Una lacrima, nascosta dalla visiera abbassata del casco, scende lenta.
I paesaggi sono, se possibile, ancora più lunari. I pochi, pochissimi alberi sono deformati dal vento impetuoso, non ci sono attrazioni turistiche degne di nota, la frenesia di raggiungere la fine del mondo annulla ogni altra cosa. Valico i duecento cinquanta metri del Passo Garibaldi e poco dopo avvisto le due torri ai lati della strada che annunciano a lettere cubitali “Ushuaia”. L’impresa è compiuta. Ho lottato con il vento, la pioggia, la polvere, la stanchezza e a volte la solitudine, ma posso dire che ne è valsa veramente la pena.
Un viaggio in moto in Patagonia cambia la vita? Non lo so, di certo a me l’ha arricchita parecchio!
Massimo
Un viaggio in moto alla fine del mondo – Patagonia e Terra del Fuoco
Una risposta
Massimo hai descritto perfettamente tutto quello che ognuno ha provato in questo bellissimo e indimenticabile viaggio.
Mettiamoci in più le serate trascorse insieme daventi ad una birra a raccontarci la propria vita e i favolosi briefing serali per preparsre la tappa del giorno seguente. Tante emozioni mi hai fatto rivivere in questo periodo di m….
Un abbraccio
Marco